Antenna Uno Rockstation |
lunedì, 5. aprile 2004
antennaunorockstation
12:42h
THE DARKNESSPermission To Land è assolutamente il disco giusto al momento giusto – in un periodo di crisi del bri-pop e nell’attesa (che oramai sembra durare da secoli) di una nuova stella catalizzatrice di pensieri e suoni. I Darkness sono una presa in giro, in senso buono. Suonano il genere più semplice ed acchiappone di questo universo, un miscuglio di tutto quello che il rock da classifica ha sfornato nei settanta, una mistura piaciona di Thin Lizzy, Ac/Dc, Sweet (Chi sono? Vergogna...) e via dicendo. Eppure hanno possibilità uguali sia di far impazzire oceani di folla per la propria musica, sia di irritarne altrettanta a morte... Il motivo ha un nome: Justin Hawkins. Se infatti a livello di canzoni i Darkness non sono altro che un simpatico gruppo di Rock`n`Roll, piacevole, tecnicamente accettabile e molto dotato in fatto di singoli e "fattore orecchiabilità", la voce del loro comunque carismatico frontman è quanto di più raggelante ci si possa immaginare, o la si ama o la si odia. Se superate questo scoglio (e nonostante a me piaccia, ammetto che sia duro da superare) avete un set di canzoni di una ruffianeria devastante, perfette da mettere in macchina come sottofondo per una serata "particolare". "Black Shuck" sembra sgorgare direttamente dai solchi di "Back in Black", "Get your hands of my woman" ha un ritornello che non si leva più dalla testa, idem "I believe in a thing called love", mentre "Growing on me" e "Holding my own" (Doppio senso voluto...) sono le ballate perfette per far atmosfera con la vostra lei. La stampa britannica sta impazzendo per loro, li divinizza ma questo, si sa, capita per ogni singola ciofeca del loro paese. I The Darkness non sono geni, non sono originali e non sono nemmeno per tutti i gusti ma hanno sfornato un platter vivo e gustoso, in una scena che purtroppo tende sempre di più a smarrire la componente base del rock `n` roll: il divertimento. L’accostamento del cantante Justin Hawkins dei Darkness, gruppo ora molto in auge in Inghilterra, al compianto Freddie Mercury avrà fatto rivoltare nella tomba l’ex Queen. Magari i fatti mi smentiranno e i Darkness tireranno fuori dal Cilindro album mirabili (ne dubito fortemente), ma per ora tra riff triti e ritriti, assoli troppo lunghi e un falsetto da emicrania la band inglese pare solo una parodia di qualche band hard rock degli anni ’70, gli unici brani da salvare son l’impeccabile "I believe In a thing called love" e la discreta "friday night". Nell’anno della resurrezione del metal, Permission To Land gronda di quel rock in tempesta ormonale che pareva dimenticato. Il falsetto di Justin Hawkins rievoca Freddie Mercury (non è casuale un titolo come “I Believe In A Thing Called Love”), le dosi di riffoni di chitarra sono generose (“Giving Up”) e l’impronta pop sui brani dà vita a una scrittura mai banale, neanche nell’inevitabile ballad finale “Holding My Own”. Aggiungete a tutto questo l’autoironia della band e avrete chiare le ragioni per cui è difficile non innamorarsene. Com’è che una band – come questa, proveniente dal Suffolk, e formata da due fratelli e due amici innamorati dell’hard rock anni ’70 – arriva a diventare la rivelazione del momento, fino a convincere e stordire gli ascoltatori più appassionati? Forse vincendo premi e ottenendo entusiastiche recensioni copertine, com’è capitato ai Darkness negli ultimi tempi? Se così fosse, dimostrerebbe che la stampa musica, almeno in Inghilterra, ha davvero un gran potere nella strada verso la scalata alle classifiche. Alla faccia di chi dice che i giornali musicali non fanno vendere i dischi: “Permission to land” viene pubblicato ora in Italia, ma quando è uscito lo scorso luglio in Inghilterra ha debuttato al numero 1. ... Comment |
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last updated: 23/06/14, 12:20 Youre not logged in ... Login
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